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Possiamo immaginare i suoi più lontani abitanti, del paleolitico e poi del neolitico, a caccia tra boschi e rupi, al riparo di grotte e crepacci, tra Monte Saraceno e le “Grotte delle Fate”, osservando intorno il mondo a 360 gradi.
Poi giunsero i Sanniti, fieri, bellicosi, maestri della lavorazione della pietra, che scelsero la stessa cima del Saraceno per costruire con solidi massi di pietra una delle loro inespugnabili fortezze.
Alte muraglie un tempo, entro cui era possibile accedere tramite tre porte.
E poi, quando questa non bastò più, perché la popolazione era cresciuta ed i pericoli anche, si costruì una fortezza molto grande, attraversata da parte a parte da un sentiero ancora oggi esistente, come esistono ancora tratti delle mura e le porte.
Furono qui, sicuri, in alto, e qui rimasero, i Sanniti, anche quando il console romano Fulvio Petino penetrò giù, nella valle, e riuscì a prendere persino la capitale, Bojano, nel 305 A.C.; erano ancora qui alcuni anni dopo, quando il console Papirio Cursore di nuovo penetrò nella valle del Tammaro e distrusse un’altra fortezza, quella di Sepino, nel 293 a.C.
Fu poi l’abbandono; ai monti si preferirono le valli, e forse la popolazione, lasciato il Monte Saraceno, si stanziò meglio giù, verso Sepino, la città più importante.
Nel medioevo rocche e castelli cominciarono ad essere costruiti anche qui: quello di Rocca, con ai piedi una chiesetta; quello di Caselvatica, giù a valle, ancora oggi un affascinante borgo medievale con la sua torre di epoca normanna; la borgata di S. Maria a Casale, dove sorgeva la chiesa omonima.
E il Castello di Cercemaggiore, che si erge maestoso sulla roccia, in alto, e ai suoi piedi, prende forma il borgo medievale, con le sue stradine strette, che scendono a ventaglio.
Il paese si sviluppa prima ai piedi del castello, poi, man mano, sempre più a valle, per il ripido pendio, case addossate l’un l’altra, fino al limite delle mura e alle porte di accesso.
Una sola è rimasta oggi, la Porta dei Rocchi, con lo stemma consunto dei feudatari di allora.
Archi, volte a botte, volte a crociera, portali ricchi e portali poveri, anguste scalinate con gradini in pietre levigate dall’uso di secoli, qua e là frammenti di scultura, iscrizioni, stemmi.
Ed ancora oggi Cercemaggiore resta abbarbicato alle rupi del suo castello, protetto dalla chiesa di S. Maria a Monte, proprio sulla cima; Il nome Cercemaggiore deriva da quercus maiors (quercia maggiore) nome corrispondente al luogo dove furono edificate e ricostruite le prime case dopo l’avvento di popoli devastatori. Nel 1478 il re Ferrante d’Aragona nominò titolare del borgo, che allora si chiamava “Cerca Maggiore”, Giovannella, figlia del defunto Paolo di Molise e moglie di Alberico Carafa.
Nel 1532 il feudo fu ricevuto in dono da Ferrante Gonzaga da parte di Carlo V; fu venduto nel 1559 a Geronimo Carafa da Cesare, discendente dei Gonzaga e sappiamo che sul finire del Settecento il feudo di Cercemaggiore era proprietà dei Doria con il titolo di Marchesato.

 
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