Nel Chronicon Vulturnense, codice miniato degli inizi del XII secolo, sono raccontate le vicende storiche del monastero di San Vincenzo al Volturno. Si narra che l'abbazia di San Vincenzo fu fondata nel 703 grazie all’opera di tre nobili originari della città di Benevento. L’edificio fu costruito in un fertile altopiano nella parte più alta della Valle del Volturno. Inizialmente lo sviluppo del monastero fu modesto ma tra il 780 e l' 830 divenne uno dei più grandi monasteri d'Europa. Basti pensare che in questo periodo il terreno intorno al monastero contava ben otto chiese e dozzine di costruzioni al servizio di una comunità monastica di circa quattrocento monaci. Nei decenni successivi all' 850, però la sua fama andò declinando e fu abbandonato anche a causa dei saccheggi operati dai predoni nord africani saraceni al servizio del Duca di Napoli. Ben trentatrè anni dopo i monaci vi ritornarono per restaurare la chiesa maggiore e i restanti edifici. Le successive vicende storiche sono abbastanza incolori: il complesso monastico dopo i danni riportati nel corso dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, viene avviato un programma di ricostruzione diretto dal monaco cassinese Angelo Pantoni. Dal 1989 il monastero è tornato ad ospitare una comunità benedettina: quella delle suore provenienti dal monastero di Regina Laudis nel Connecticut (USA). Queste suore sono dedite alla vita contemplativa secondo la nota Regola di San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, "ora et labora" che significa prega e lavora. L'Abbazia ogni anno è meta di pellegrini e di persone in cerca di Dio, nonché un centro per la convergenza culturale e spirituale d'Europa. Attualmente la Badia di San Vincenzo al Volturno è a tre navate divise da grossi pilastri possiede ancora oggi il trecentesco complesso presbiterale a pianta quadrata con volta a crociera e capitelli corinzi, provenienti da un edificio di età romana e in ultimo tre absidi decorate. All’interno davanti alle due absidi laterali sono visibili riquadri di pavimento marmoreo in “opus sectile”.
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